“Non nobis Domine”: sessant’anni di fede
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“Non nobis Domine”: sessant’anni di fede
possiamo aggiungere che, mentre nelle altre religioni è l uomo che cerca
Dio, nella nostra avviene il contrario: è Dio che ci viene incontro, che
cerca noi. E' facile o difficile la vita sacerdotale e religiosa? Restiamo
sempre nell esperienza propria della maggioranza di noi. Il matrimonio non
basta celebrarlo un giorno e poi dimenticarsene: esso va continuamente
rinnovato: con l'amore reciproco, con l'aiuto fraterno. Col perdono,
inventando gesti benefici. La stessa cosa avviene un po' col sacerdozio: non
basta essere stati ordinati e consacrati, ma occorre tener vivo il proprio
impegno, la propria chiamata. Come? Anzitutto con la preghiera. Con la
celebrazione della santa Messa, con la recita dei salmi del breviario, con
l'amministrazione dei sacramenti dell'eucaristia e della penitenza: pure
ricevendoli. Il patriarca Luciani proprio in questa Chiesa, predicando alla
messa del fanciullo diceva che lui si confessava tutte le settimane. La
vecchia dottrina per il clero era esigente, precisa ed insegnava quali
fossero le preghiere e le pratiche di pietà da compiere. Niente di strano
dunque, anche perché il principio che vale per il prete, vale pure per tutti i
cristiani, anzi: per tutti gli uomini. Cioè, che chi prega si salva, chi non
prega si danna. [...] Ricordiamo la Santa Messa, dove il Dio del cielo, il
Creatore ha inviato, invia suo Figlio, che ci ripropone sia pure per pochi
istanti la possibilità di espiare il male della nostra natura facendoci
rivivere il dramma del suo amore per noi. Lo stesso mistero del Calvario e
del Cenacolo sono realmente ripresentati nella Santa Messa. Siamo dunque
nel mistero e il sacerdote non è mai tanto lui stesso come quando celebra
“in persona Christi”, nella stessa persona di Cristo, la rinnovazione del
sacrificio della Croce: la Santa Messa. […] Mi sia consentito ricordare don
Ettore (Fuin. il parroco precedente) che parecchi certamente hanno
conosciuto. Per la costruzione di questa chiesa e del patronato egli ha
speso le proverbiali sette camicie. Egli era solito spuntarla, anche perche
trovava persone generose che lo aiutavano come potevano. Aveva costruito
la chiesa: rialzata rispetto al piano stradale, per potervi includere delle
aule nella parte sottostante: affittandole alle scuole pubbliche avrebbe
potuto pagare i debiti e successivamente le aule sarebbero servite per il
catechismo. Anche qui problemi per giustificare la spesa che sembrava
eccessiva. Ricordo che, finita la costruzione della Chiesa, una volta don
Ettore (disse: ho fatto quanto si poteva; chi mi succederà potrà abbellire c
completare quanto non mi e stato possibile fare. Ora. per quanto ha fatto e
per quanti lo aiutano, se lo permettesse, bisognerebbe applaudire don
Gianfranco!
Mi sia permesso, concludendo, ricordare una nota personale, dal momento
che dei miei 50 anni di sacerdozio un bel po’ ne ho passati a S. Barbara.
Quando, finite i miei studi romani mi chiesero di aiutare don Ettore, avendo